Terra d’acqua, di riso con qualche zanzara, una piccola parte della Pianura Padana, nella zona sud-occidentale della Lombardia, è designata con il nome di “Lomellina” ci troviamo nel comune di Vigevano che vi accoglie con l’armonia della celebre Piazza Ducale: “una sinfonia su quattro lati”, secondo la definizione del grande maestro Arturo Toscanini. Ideata dal Bramante con il concorso di Leonardo da Vinci, Piazza Ducale è l’ingresso d’onore all’imponente Castello, per estensione uno dei più grandi d’Europa. Città d’arte ma anche città d’acque, Vigevano è attraversata da canali e dal fiume Ticino che offre scorci e oasi naturali di indubbio fascino. Ancora oggi nota in tutto il mondo per la produzione di scarpe di qualità e per la sua industria meccano-calzaturiera. Di origine Longobarda Vigevano nasce come luogo fortificato corrispondente all’attuale cortile del Castello. Successivamente si sviluppa il borgo esterno, le cui case ed edifici sorgono sul luogo oggi occupato dalla famosa Piazza Ducale. Si trasforma in libero Comune a partire dal 1198, mentre nel 1277 la storia di Vigevano si lega a quella delle potenti famiglie milanesi dei Visconti prima e degli Sforza poi. Grazie all’opera di Luchino Visconti e di Ludovico Sforza detto il Moro, tra XIV e XV secolo, il borgo di Vigevano inizia la sua trasformazione in residenza estiva, in delizioso soggiorno per gli svaghi e gli ozi della corte ducale: il Castello viene adibito a dimora di prestigio grazie all’opera di artisti come Bramante, la Piazza Ducale in scenografico spazio libero da case ed edifici, regale atrio d’ingresso al Castello. Nel 1530 Vigevano ottiene il titolo di città con una propria sede vescovile. In “Lomellina“, vi è la presenza di una serie di formazioni geologiche caratteristiche di origine ancora, in parte, controversa: i “Dossi“. Si tratta, in sintesi, di veri e propri vasti rilievi sabbiosi Pleistocenici che si elevano di pochi metri (3, 4) sulla campagna circostante. Nel passato la Lomellina doveva apparire come un’immensa zona ondulata in cui si alternavano aree acquitrinose ad aree asciutte nelle quali emergevano zone sopraelevate in corrispondenza degli attuali Dossi. Oggi ben poco è rimasto del paesaggio originario. Le paludi sono state bonificate e i dossi in gran parte spianati. Il processo di livellamento del terreno ha avuto, nel dopoguerra, una vera e propria impennata dovuta, da una parte, all’estendersi della monocoltura del riso e della coltivazione del pioppo. Le prime notizie sulla coltivazione del riso in Lomellina risalgono alla fine del Quattrocento, quando fu sperimentata nelle fattorie degli Sforza nei dintorni di Vigevano. Anche se la particolare conformazione del terreno, ricco di acque superficiali e poco profonde, si è rivelata subito adatta alla coltivazione, la diffusione delle risaie in Lomellina è stata limitata fino al sec. XVIII. Dall’Ottocento, con la costruzione del Canale Cavour, la coltivazione si è andata sempre più affermando ed oggi copre buona parte del territorio coltivato con una produzione decisamente superiore rispetto al passato (dai 18 ai 60 quintali per ettaro). L’antico ciclo della coltivazione del riso, basato sul trapianto del cereale in campi prima utilizzati per altre coltivazioni, con una continua rotazione, è ormai un ricordo. Ora il cereale viene piantato a maggio direttamente nelle risaie, prima arate, livellate e quindi allagate fino ai 10/20 cm per assicurare la protezione termica del chicco. Qui le verdi piantine crescono protette dalle erbe infestanti con diserbanti ed erbicidi, fino a trasformarsi, a settembre, in lunghi steli con ricche spighe di chicchi dorati. Allora, le moderne mietitrebbie scendono nelle risaie ormai asciutte con pesanti cingoli e tagliano le piante, separando già i chicchi dalla paglia. I preziosi chicchi, chiamati in questa fase risone, vengono quindi essiccati e solo allora possono passare alle riserie per la raffinazione. Per essere preparati al consumo alimentare i chicchi di riso vengono prima sbramati, poi sbiancati e, spesso, sottoposti anche alla brillatura, cioè alla lucidatura per mezzo di talco e glucosio. Mangia il tuo riso, al resto ci penserà il Cielo. Il proverbio è cinese. Vagando per la Lomellina è impossibile non notare i pioppi e pioppeti che contribuiscono a configurare il paesaggio, renderlo particolarmente affascinante nel periodo del gelo invernale quando spogli, la brina gelata padroneggia sui rami con un po’ di foschia diventa un momento indimenticabile. Pochi sanno che il pioppo è il legno più presente nelle nostre case: carta, cassette della frutta, mobili, pannelli di rivestimento, porte. Sono tantissimi gli oggetti di uso comune realizzati con questo importante legno “popolare”. Le ricette della Lomellina sono di origine contadina e popolare. Non mancano polenta e riso in quantità e qualità, maiale, animali da cortile con la particolarità dell’oca per tutti i gusti. Di quello che offre il territorio: erbette di campo selvatiche, il luvartis, funghi, particolari le caranine, lumache. La pesca: rane, carpe tinche, lucci, bottine, alborelle e la caccia: lepri, anatre, fagiani. La preparazioni di così tanti prodotti è legata molto alla tradizione famigliare, quasi tutti hanno la ricetta tramandata del come preparare il particolare piatto e solo pochi hanno l’onore della fama della ristorazione, non resta che agurarvi buon appetito.